3000 OBJECTS AND WORKS OF ART TO PROMOTE INTERACTION BETWEEN CONTEMPORARY ART AND THE ART OF "OTHER" CULTURES IN OBJECT /SPECIFIC MODE
2015
Sergio Poggianella, “Un paesaggio del sacro. Lo sciamano del Riparo Dalmeri” in XXVI Valcamonica Symposium, Prospects for the Prehistoric Art Research, Centro Camuno di Studi Preistorici, Capodiponte, 9-12 settembre 2015
Isars: International Society for Academic Research on Shamanism
Sacred Landscapes and Conflict Transformation: History, Space, Place and Power in Shamanism
Conference, October 9th – 13th 2015, Delphi (Greece)
Un paesaggio del sacro. Lo sciamano del Riparo Dalmeri.
Sergio Poggianella
In Italia, nel Trentino, a 1240 metri di altitudine è stato scoperto il sito epigravettiano Riparo Dalmeri[i], il più affascinante accampamento di cacciatori preistorici della fine dei tempi glaciali. Qui durante gli scavi iniziati nel 1990, nell’area rituale - così denominata dagli archeologi – di fronte al riparo è stato rinvenuto un eccezionalecorredo di 267 pietre dipinte che non ha eguali nei siti preistorici europei. Particolare rilevante, all’atto del ritrovamento la maggior parte delle pietre aveva il lato dipinto rivolto verso il basso. Le pitture in ocra rossa, a silhouette - senza contorni - realizzate su pietra calcarea locale[ii], sono a soggetto antropomorfo, zoomorfo, fitomorfo, con segni schematici, impronte di mani, tra le quali alcune riportano superfici con evidenti tracce organizzate di pigmento rosso, una varietà stilistica e tipologica che ha dato impulso a un'intensa serie di studi sulla vita artistico-religiosa degli uomini vissuti nel Paleolitico superiore. In questo saggio si propone un'indagine che mette a confronto il modello archeologico dell'arte preistorica, nello specifico quello del Riparo Dalmeri, con la pratica sciamanica, campo di studi privilegiato degli antropologi e storici delle religioni. Siamo consapevoli delle insidie che confronti di questo tipo comportano, essendo l'arte preistorica che conosciamo solo un “residuo” di un ben più complesso sistema di credenze. Inoltre dato il grande gap temporale che separa la Preistoria dalle prime osservazioni scientifiche sullo sciamanesimo, riteniamo che l’approfondimento di tali tematiche possa trovare una propria legittimità che va ben al di là delle supposte affinità estetiche e stilistiche tra oggetti di culture diverse.
Le pietre dipinte del Riparo Dalmeri e gli artefatti rituali dello sciamano in generale, fanno riferimento, oltre alla dimensione ordinaria del vissuto, a una concezione cosmogonica “magica” e/o “spirituale” del tempo e dello spazio, connesse con le pratiche magiche individuali e forme di culto religioso comunitario[iii]. L’analisi dei diversi aspetti sociali, artistici e religiosi pone seri problemi per quanto riguarda i criteri teorici e metodologi da adottare in una prospettiva pluridisciplinare, che vede principalmente coinvolte l’archeologia, l’antropologia, la storia dell’arte e in generale le scienze cognitive. Sin dal primo impatto visivo, nelle pietre del Riparo Dalmeri, riscontriamo caratteristiche peculiari alle opere d’arte, sebbene il concetto di arte, come inteso dal sistema dell’arte contemporanea, sia quanto mai discutibile, se applicato agli artefatti della preistoria o a quelli delle altre culture[iv]. Tali oggetti, d’altro canto, non sono stati creati per il puro piacere estetico legato al gusto, all’art pour l’art - teoria ormai abbandonata dalla maggior parte degli studiosi - ma per essere utilizzati simbolicamente nell’assolvimento di quelle funzioni comunitarie e rituali, praticate da speciali individui visionari, in grado di stabilire particolari relazioni con il mondo invisibile degli spiriti. Coloro che hanno tali capacità, conoscenze e carisma sono gli sciamani. Essendo questi maestri della trance riescono a comunicare con gli spiriti agendo in favore della comunità. Le specialità e le qualità di uno sciamano del Paleolitico superiore - rispetto alle più studiate culture sciamaniche storiche e contemporanee della Siberia, del Sudafrica, delle Americhe, della Cina, della Corea o dell’Europa - possono essere dedotte principalmente dall’analisi e lo studio dei reperti archeologici, nei loro rispettivi contesti. Ma dobbiamo anche tener ben presente che, a partire da circa 40.000 anni fa, gli esseri umani del Paleolitico superiore, come sottolinea Alain Testart: «sono diventati pienamente umani, questi sono degli uomini “moderni” come noi, homo sapiens sapiens, sebbene esistano tuttora grandi controversie sulla sopravvivenza o meno in certi periodi, del nostra cugino, l’homo sapiens nearderthalensis»[v]. Questo significa che, «il sapiens sapiens possedeva le stesse nostre facoltà cognitive. Egli aveva pieno accesso alla funzione simbolica, quella che l’arte ci mostra a sufficienza»[vi]. Nel nostro caso, l’utilizzo simbolico delle pietre dipinte del Riparo Dalmeri marca la grande differenza rispetto all’uso utilitaristico degli altri oggetti. Gli scavi stratigrafici condotti dal Museo Tridentino di Scienze Naturali, hanno posto in evidenza non solo le modalità di sfruttamento delle risorse naturali da parte dei cacciatori e raccoglitori epigravettiani, ma anche il fatto che le pietre dipinte e la loro collocazione spaziale, attestano pratiche e funzioni rituali. Al di là della valenza artistica e delle tecniche utilizzate, come sostiene l’archeologo Giampaolo Dalmeri, le pietre dipinte sono: «rappresentative di gesti e di concezioni ideologiche»[vii] la cui chiave di lettura è basata sull’analisi delle relazioni spaziali che intercorrono tra di esse. Oltre alle evidenze archeologiche desunte dalle analisi scientifiche pluridisciplinari sui reperti, i gesti, l’atto del dipingere e del disporre le pietre secondo logiche spaziali per nulla casuali, sono la dimostrazione di pratiche rituali messe in atto da individui le cui caratteristiche potrebbero corrispondere a quelle dello sciamano, quando ricopre il ruolo d’intermediario tra gli esseri umani e i mondi degli spiriti.
Entrati in un argomento che ci sta a cuore, riteniamo utile riportare qui un pur limitato numero d’interpretazioni del concetto di sciamano proposte dai più accreditati antropologi e storici delle religioni. Il vastissimo tema dello sciamanesimo è oggetto di acceso dibattito in tutti i convegni e riviste dedicate allo studio degli sciamani delle più diverse culture. Le numerose scuole di studiosi di ‘sciamanesimo o sciamanismo’ - l’uso del primo o del secondo termine è per noi una questione accademica di lana caprina - che ora includono anche il neo-sciamanesimo e la New Age, nei differenti contesti storici e geografici attribuiscono allo ‘sciamano’ ruoli, compiti e significati tra i più vari, sia che, per raggiungere l’estasi o altre forme di coscienza alterata, venga fatto uso di sostanze psicomimetiche, sia che, sempre a seconda delle culture, vengano adottati rituali quali ad esempio: l’uso prolungato del battito del tamburo, la danza a oltranza e altre forme di induzione a stati di epilessia o di catalessi. Nell’articolo ‘Osservazioni Introduttive allo Studio dello Sciamanismo’ il noto antropologo e sciamanologo Åke Hultkranz osserva che sebbene lo sciamanismo sia investigato in molti paesi da ogni angolazione possibile, pochi sono gli scambi fruttuosi di idee tra gli studiosi coinvolti[viii]. Tra gli altri cita V. M. Mikhaĭlovskiĭ, il quale in una delle prime definizioni scientifiche, afferma che lo sciamano è «un intermediario nelle relazioni umane con il mondo degli spiriti» un mediatore tra il mondo naturale e quello soprannaturale[ix]. Il noto storico delle religioni Mircea Eliade vede lo sciamano come un maestro dell’estasi e lo sciamanismo come una tecnica dell’estasi. Ma ancora più pregnante è la riflessione dello stesso Åke Hultkranz sul ruolo dello sciamano: «un funzionario sociale, che con l’aiuto degli spiriti guardiani, raggiunge l’estasi per creare un rapporto con il mondo soprannaturale per conto dei membri del suo gruppo». È uno sciamano o una sciamana, chi attraverso l’esercizio e il talento spirituale è in grado di agire come intermediario tra i membri del proprio gruppo sociale - o altri, in certi casi - e i poteri soprannaturali. Il contatto con gli altri mondi è ottenuto attraverso la trance o l’estasi, due parole che esprimono lo stesso concetto. La trance segnala l’ingresso degli spiriti guardiani[x]. Lo sciamano nel recuperare l’anima dell’ammalato, a volte si trasforma nel suo spirito guardiano. Può inoltre ricoprire il ruolo di psicopompo, indovino e di responsabile della buona fortuna nella caccia, agendo in tal modo come il signore sovrannaturale degli animali, mettendoli a disposizione dei cacciatori. Lo sciamanesimo può essere definito come quel complesso di credenze, rituali e miti e noi aggiungiamo oggetti - nel nostro caso (tutto da dimostrare) le pietre e gli altri oggetti d’uso non utilitaristico, scoperti nel Riparo Dalmeri - che si sono sviluppati attorno alla figura dello sciamano[xi].
Rimanendo ancora su un piano teorico, per lo studio di questi reperti e l’individuazione delle loro valenze estetiche, etiche, sociali, economiche e politiche, proponiamo il punto di vista object-specific[xii] della cultura materiale, secondo il quale gli oggetti e i soggetti instaurano un rapporto dialogico indipendentemente dalle distanze temporali, spaziali culturali che li hanno connotati nel tempo e nello spazio. Nella modalità object-specific gli oggetti delle diverse culture anziché essere in competizione tra loro per le qualità estetiche, interagiscono per le loro valenze etiche e simboliche evidenziando il fatto che i significati non sono intriseci all’oggetto, ma che essi vanno interpretati a partire dalle modalità di fruizione e dalla percezione dell’oggetto stesso da parte dei diversi soggetti. Come sottolinea Christopher Tilley «Le forme materiali sono veicoli essenziali per l'auto-realizzazione (conscia o inconscia) delle entità individuali e dei gruppi, in quanto offrono un fondamentale modo di comunicazione non-discorsiva. Noi "parliamo" e "pensiamo" riguardo a noi stessi attraverso gli oggetti»[xiii]. Ogni oggetto quindi narra una storia particolare e tutte le storie s’intrecciano con il mondo sperimentato dagli individui. Ogni soggetto a sua volta ha una percezione diversa dell’oggetto e questo fa sí, come sottolinea Appadurai[xiv], che gli oggetti della cultura materiale abbiano una loro vita sociale e quindi, sottolineiamo, culturale. Dato che le impressioni e gli interessi che l’oggetto suscita nell’antropologo, possono differire e di molto, da quelli suscitati nell’archeologo, nello storico dell’arte, nel collezionista o in colui che ama definirsi connaisseur, riteniamo auspicabile un approccio pluridisciplinare. La complessità dei rapporti sociali innescati dall’oggetto, tangibile o non tangibile, materiale o immateriale, sia che si tratti di un manufatto artigianale, di un artefatto etnico, di un’opera d’arte, di un’installazione, sia di una qualsiasi altra espressione artistica e possiamo includere anche il paesaggio - oggetto quest’ultimo, connaturato col mondo degli sciamani - pone in essere una relazione dialogica aperta, che può essere meglio analizzata da una prospettiva object-specific, ossia partendo dai significati dell’oggetto stesso.
Per quanto riguarda ancora gli aspetti teorici della ricerca, riteniamo inoltre necessario adottare un approccio pluridisciplinare aperto al coinvolgimento di tutte le scienze umane. Si tratta di spiegare un fenomeno umano in diverse maniere complementari, che come sottolinea George Devereux: «dimostra da una parte, che il fenomeno in questione è sia reale e spiegabile, e, d’altra parte che ciascuna delle sue due [o più] spiegazioni sia ‘completa’ (e quindi valida) nel suo proprio quadro di riferimento…Così, [ad esempio] la vera ‘etnopsicoanalisi’ non è ‘interdisciplinare’, ma pluridisciplinare, perché effettua una doppia analisi di determinati fatti, nel quadro dell’etnologia da una parte, e nel quadro della psicoanalisi dall’altra parte, ed enuncia così la natura del rapporto (di complementarità) tra i due sistemi di spiegazione»[xv] a dimostrazione, da un lato, che gli oggetti e i soggetti sono profondamente legati tra di loro, dall’altro, che il rapporto di complementarità è applicabile a tutte le discipline. Oggetti e soggetti non vivono vite separate, ma convivono in un costante rapporto di complementarità che implica a sua volta continui aggiustamenti e quindi cambiamenti di luogo e di contesto. La pluridisciplinarità, non è necessario crearla, basta constatarne l’esistenza, l’inevitabilità metodologica e trarne le debite conseguenze, inoltre, sottolinea Devereaux, a un livello più astratto, ciascuna di queste discipline appartiene sia alla ‘psicologia’ sia alla ‘sociologia’. L’interazione tra oggetti e soggetti avviene ai diversi livelli fisici e psichici in cui i sensi e l’emotività giocano un ruolo determinante a seconda delle geografie culturali in cui vivono e operano o hanno vissuto e operato i diversi gruppi umani. I significati e i valori degli oggetti materiali vanno cercati nella geografia dei contesti sociali in cui tali oggetti sono stati creati.
Le pietre dipinte del Riparo Dalmeri hanno il grande vantaggio di essere oggetti di arte mobiliare provenienti da uno scavo stratigrafico, mentre la maggior parte degli oggetti d’arte del Paleolitico superiore, se si eccettua l’arte parietale, proviene da scavi non stratigrafici[xvi]. La decontestualizzazione di fatto dell’arte mobiliare riduce e compromette gravemente i potenziali dati e informazioni che la ricerca archeologica, nel rapporto pluridisciplinare con le altre scienze, può fornirci riguardo alle relazioni che essi hanno avuto con l’ambiente, con gli individui che li hanno scoperti, creati e utilizzati funzionalmente, ritualmente e simbolicamente. La documentazione archeologica dello scavo stratigrafico del Riparo Dalmeri, ancora in corso, ci offre di volta in volta una straordinaria quantità d’informazioni pluridisciplinari, le quali possono trasformarsi in utili strumenti di lettura e interpretazione dei comportamenti e delle concezioni artistiche, spirituali e cosmogoniche dei gruppi umani epigravettiani che hanno frequentato il riparo.
Dall’analisi archeozoologica si è potuto dedurre che nel Riparo Dalmeri si radunavano stagionalmente, tra l’estate e l’autunno, gruppi umani epigravettiani dediti alla caccia del capriolo, del cervo, del camoscio, occasionalmente dell’orso e del tasso. Ma la preda più ambita era lo stambecco, corrispondente al 90% circa dei resti faunistici trovati in situ. Veniva anche praticata la caccia agli uccelli e l’attività della pesca e della raccolta. Gli scavi stratigrafici hanno posto in luce due livelli antropici: il primo, più antico, attraverso la datazione al carbonio 14 è fatto risalire a 13.200 cal BP e coincide con la deposizione di circa 267 pietre dipinte con ocra rossa; il secondo, datato a 13.000 cal BP, evidenzia dei focolari e la struttura sub-circolare di una capanna (Fig. 1). Le nuove campagne di scavo stratigrafico effettuate tra il 2006 e il 2009 nella parte esterna al sottoroccia hanno portato alla luce tre fosse circolari (Fig. 2) contenenti depositi intenzionali “di probabile origine rituale”[xvii], composti essenzialmente da parti di crani e corna di stambecco, lisciatoi e pietre dipinte in ocra. In particolare: «la fossa [denominata] F1, di forma ovale, si distingue per la quantità di materiale antropico in essa contenuto e per la complessità della sequenza dei livelli di riempimento, tra i quali quello superiore era costituito da corna di capra ibex posizionate attorno ad alcune pietre, di cui una dipinta in ocra rossa»[xviii]. Chi può aver selezionato, trattato, gestito e deposto le pietre dipinte e gli oggetti trovati nelle tre fosse del Riparo Dalmeri? Quali funzioni, poteri materiali, spaziali e spirituali erano a essi attribuiti? A quale sistema simbolico facevano riferimento? Erano oggetti propiziatori per la caccia o accompagnavano le sepolture? Data la loro dislocazione spaziale intenzionale, ben delineata secondo determinati schemi ideologici - come il fatto da sottolineare che, nel momento del ritrovamento il 75% di esse aveva il lato dipinto rivolto verso il basso - lascia supporre una organizzazione sociale guidata da individui particolarmente dotati, le cui conoscenze, esperienze e ruoli evocano la figura dello sciamano moderno. Bernardino Bagolini ipotizza «un’arte magica’ creata e praticata da cacciatori adulti del Paleolitico Superiore iniziati alla caccia. Una ‘sorta di sciamani’ che la collettività esonerava dalle attività produttive, affinché potessero dedicarsi interamente al rituale, ritenuto di particolare importanza per la sopravvivenza della comunità»[xix]. Per quanto riguarda l’utilizzo funzionale degli animali cacciati e soprattutto il cibo, le ricerche etnografiche hanno reso evidente che: «La carne è oggetto di interessi implicanti la sfera ideologica e religiosa e di spartizioni che esprimono e rafforzano solidarietà più vaste nell’ambito in cui circolano i prodotti dalla raccolta, ambito che comprende soltanto poche famiglie»[xx]. La caccia, la macellazione degli animali, l’utilizzo funzionale e rituale delle loro parti anatomiche comporta un’organizzazione sociale e una suddivisione dei compiti prestabilita e liberamente o coercitivamente condivisa.
Si pone quindi la grande questione non solo dell’uso, ma anche della rappresentazione degli oggetti: sono essi funzionali, rituali, simbolici o altro? Non potendo qui entrare nel vivo delle controverse ipotesi interpretative che da più di un secolo a questa parte hanno assillato gli studiosi che hanno cercato di dare una risposta al perché della creazione e utilizzo dell’arte parietale e mobiliare del Paleolitico superiore – basti menzionare Reinach, il conte Bégouën, Breuil, Leroi-Gourhan e A. Laming-Emperaire – ci limiteremo a alcuni accenni sulle recenti ricerche di Jean Clottes e David Lewis-Williams riportate nell’imprescindibile volume Les chamanes de la préhistoire del 1996[xxi]. I due autori partono dal presupposto che lo sciamanismo - così diffuso in molte regioni della terra - le relative visioni del mondo e le pratiche sciamaniche, meglio rispondano, rispetto ad altri approcci, a “certe particolarità dell’arte delle grotte profonde”[xxii] e, accettata tale teoria, potremmo includere anche l’arte mobiliare delle diverse provenienze, come le pietre dipinte del Riparo Dalmeri. Ipotizzando quindi la produzione di figurazioni astratte e realistiche di segni e simboli da parte di individui che, nello svolgimento di funzioni rituali, rivestono il ruolo dello sciamano, Clottes & Lewis-Williams, in seguito a approfondite ricerche neuropsicologiche in laboratorio, hanno ipotizzato tre stadi maggiori della trance o della coscienza alterata, che pur coinvolgendo tutti i sensi, si differenziano tra loro a seconda degli effetti causati dai mezzi di induzione e/o dall’uso di allucinogeni. «Nel primo e più leggero stadio della trance appaiono forme geometriche quali punti, zigzags, griglie, insieme di linee o curve parallele e meandri», si tratta di forme vive e colorate che gli occhi aperti proiettano su delle superfici. Mentre «nel secondo stadio, i soggetti si sforzano di razionalizzare le loro percezioni geometriche che vengono trasformate, secondo le loro illusioni, in oggetti caricati di un significato religioso o emozionale». Nel terzo stadio «il soggetto si sente attratto in un vortice, alla fine del quale vede una luce luminosa. Sul bordo del vortice appare una griglia derivata dalle immagini geometriche del primo stadio. Tra le maglie di questa griglia il soggetto percepisce le prime vere allucinazioni di persone, animali e altro. Appena emerge all’estremità del tunnel si trova nel bizzarro mondo della trance: mostri, esseri umani e ambiente sono intensamente reali. Le immagini geometriche sono sempre là, ma soprattutto alla periferia» Tali visioni, come nel primo stadio, sono vissute ad occhi aperti[xxiii]. Gli assunti di tale affascinante e coraggiosa teoria sono comprovati: nello stato alterato di coscienza non solo gli sciamani, ma anche particolari soggetti occidentali, in determinate condizioni possono avere visioni allucinatorie analoghe, che a loro volta dipendono da situazioni e luoghi da porsi in stretta relazione con le culture e i gusti dei soggetti coinvolti. Rimanendo nel campo dei miti e del delirio, il paletnologo Emmanuel Anati ci suggerisce che se diamo credito alle definizioni dei dizionari: «Gran parte della mitologia di molti popoli della Terra rientra nella categoria di delirio o allucinazione. Le storie fantastiche della creazione, delle opere di spiriti ancestrali, divinità, mostri, superuomini, possono definirsi effetto di delirio o di allucinazione? Tuttavia tali storie sono la base stessa del nostro intelletto, caratterizzano le capacità cognitive ed intellettuali dell’Homo sapiens, la sua fantasia, la sua esigenza di inventare»[xxiv]. Si tratta di un patrimonio letterario, intellettuale e concettuale comune a tutte le popolazioni, in primis di quelle senza scrittura.
La creazione delle pietre dipinte in ocra rossa del Riparo Dalmeri è anch’essa frutto del delirio, delle visioni ottenute negli stati alterati di coscienza? O dipende dalle intuizioni di qualche artista-sciamano che ha creato gli strumenti per un rituale in uno stato cosciente, ricordando e riproponendo simbolicamente ciò che ha visto in sogno o in uno stato alterato di coscienza? O è il risultato di un’attività artistica allucinatoria collettiva? Riguardo a quest’ultima, Anati precisa: «Le allucinazioni collettive hanno necessariamente inizio come allucinazioni di un individuo, maestro, istruttore, sciamano o profeta. Questo paradigma evidenzia il ruolo dell’individuo e la funzione del processo di diffusione e di accettazione delle allucinazioni collettive»[xxv]. Le esperienze immaginarie o reali sono il frutto della memoria e sebbene possano esser condivise, sono da considerarsi soggettive. Elaborati dalla memoria individuale o collettiva, l’immaginario e il reale sono percepiti in modo diverso da ciascun individuo. Le pietre del Riparo Dalmeri, includono diverse tipologie figurative: rappresentazioni o simbologie a carattere antropomorfo (Fig. 3-4), zoomorfo (Figg. 5-6), schematico (Fig. 7), che a volte formalmente sconfinano nel fitomorfo Fig. 8) o riportano tracce intenzionali di pigmento rosso o semplici residui di colore. Tutte le pietre registrano una stesura piatta del colore, senza contorni. Nel “film” pittorico di alcune pietre è stata certificata una presenza organica cerosa, simile alla cera d’api. Quelle per noi più significative, in aggiunta, sfruttano i diversi livelli del supporto calcareo estendendo la figura dipinta in zone a rilievo o nelle depressioni della pietra stessa, suggerendo un’impressione di tridimensionalità che, in tal caso conferisce profondità alla stesura piatta e senza contorni delle figure. Alcune pietre riportano al verso, una ‘sorta di “marcatura” data da un piccolo simbolo complesso, segno puntiforme o chiazza in ocra, centrati’[xxvi]; potrebbe trattarsi di una sorta di sigillo o firma. Ciò che però maggiormente colpisce sono il numero e frequenza di pietre con le principali categorie di soggetti pittorici: 10 pietre, ossia il 3,8% del totale sono a carattere antropomorfo e similari; 27 pietre, il 10,1%, sono zoomorfe; 38 pietre, il 14,2% sono schematiche o segni; 38 pietre, il 38%, riportano colore su una o più facce; 154 pietre, il 57,7%, hanno tracce o residui di colore su una o più facce. La maggior parte delle pietre, per un totale del 86,1% sono astratte o aniconiche, mentre solo il 13,9% riportano raffigurazioni pittoriche zoomorfe e antropomorfe. Le figurazioni e i segni che suscitano maggiori perplessità riguardo al loro significato sono quelli aniconici. In un articolo sulla morfogenesi dei segni aniconici, Gabriella Brusa-Zappellini riproduce 15 interessanti modelli fosfenici secondo Max Koll e in un secondo grafico, 20 decorazioni geometriche degli indios Tucano, proposte da Reichel-Dolmatoff 1978 (Figg. 9-10) [xxvii]. Nello stesso articolo è riportata una riflessione di J.D. Lewis Williams e T.A. Dowson pubblicato su “Current Anthropology”, The Signs of All Times. Entoptic Phenomena in Upper Paleolithic: in cui gli autori, in base alle sperimentazioni sulle distorsioni visive in campo neurologico, sostengono che alcuni segni aniconici dell’arte paleolitica fossero la “restituzione grafica” dei fosfeni: «cioè delle apparizioni luminose (zig-zag, punti, reticolati, ecc.) imputabili alla destabilizzazione del sistema ottico, che insorgono negli stati alterati di coscienza riconducibili, nelle culture arcaiche, a pratiche rituali di carattere sciamanico»[xxviii]. Non potendo qui dedicarci a un’analisi dettagliata dei segni aniconici, sui quali tra l’altro esiste un’ampia letteratura, possiamo tuttavia constatare - come per quelli più figurativi o realistici, di più “apparente” facile lettura - la loro trasversalità universale nello spazio e nel tempo, tenendo sempre in mente, che l’uomo del Paleolitico superiore era in possesso delle stesse nostre facoltà cognitive, con pieno accesso alla funzione simbolica.
Tra le pietre del Riparo Dalmeri, ci colpisce, per la sua bellezza e pregnanza simbolica, quella di dimensioni maggiori rispetto alle altre, rappresentante una grande figura antropomorfa, (Fig. 3). Secondo Giampaolo Dalmeri: «Il grande antropomorfo RD 211 - occupa una posizione di rilievo, assolvendo sicuramente ad una funzione ideologica centrale. Il corpus dei dati archeologici permette di ipotizzare che i gruppi umani epigravettiani abbiano concepito uno spazio sacro, delimitandolo attraverso la deposizione delle pietre dipinte contraddistinte da una forte unità tecnico-stilistica»[xxix]. Il fatto poi che esistano nuclei di concentrazione, con la sovrapposizione fisica delle pietre e il capovolgimento della maggior parte di esse: «indica la ripetitività del gesto rituale e suggerisce che il capovolgimento e quindi l’occultamento dell’immagine fossero parte integrante del rito»[xxx]. L’essere antropomorfo dipinto nella pietra RD 211, potrebbe rappresentare simbolicamente la figura di un antenato mitico, di uno sciamano che ha acquisito un grande prestigio sociale, grazie ai servigi resi alla comunità: nelle pratiche di guarigione e di recupero dell’anima dell’ammalato e nei rituali finalizzati a una caccia proficua e per altri servigi peculiari al suo ruolo. Nella conflittualità permanente tra individuo e società, particolari individui sono in grado di controllare, come afferma Giddens: «le regole e le risorse della società a proprio vantaggio»[xxxi] e nel caso degli sciamani, noi aggiungiamo, anche e soprattutto a vantaggio della comunità. L’operato di un potente sciamano, in favore del proprio gruppo sociale, oltre ad aumentarne il prestigio, ne fa un vero e proprio leader politico. La pietra RD 211 forse non è casualmente la più grande e la figura dipinta in ocra rossa potrebbe proprio riferirsi a uno sciamano idealizzato. La dimensione della pietra; la postura ieratica del personaggio seduto a gambe divaricate, un indice di autorevolezza; la traccia di un copricapo con una strana forma data dalla presenza di due cerchi in ocra periferici; la forma sferica - una incisione naturale nella pietra, estesa a forma di corno lungo il braccio - al cui interno è naturalmente incorporata una figura rettangolare con propaggini filiformi, che potrebbe alludere a una simbolica trappola per animali; il fatto che sopra e in corrispondenza di questa forma a corno o pugnale, troneggi una sfera dipinta in ocra rossa, coincidente con il cerchio posto sul lato sinistro del copricapo, potrebbe simboleggiare un sole, oppure il mondo superiore; il braccio destro piegato a 90 gradi e rivolto verso il basso, il cui avambraccio sconfina in una depressione della pietra e sembra affondare nel mondo ctonio; tutti questi dettagli naturali e la figura in ocra rossa, che a tratti sembra voler penetrare nelle fessure e negli affossamenti della pietra, idealizzano un sacro legame tra l’umano terreno e il divino soprannaturale. Questa straordinaria opera d’arte è inoltre indice di una società organizzata, consapevole dei diversi ruoli ricoperti da ciascun individuo e soprattutto del ruolo determinante del loro leader, lo sciamano, che per la sopravvivenza del gruppo, agisce da mediatore fra le cose terrene e il mondo degli spiriti. Le pietre del Riparo Dalmeri configurano un ponte ideale tra il mondo reale e il regno dell’invisibile.
Trarre delle conclusioni su un tema appena e poco indagato dalla ricerca etnografica è quanto mai azzardato e poco utile. Data la recente la scoperta di questi straordinari oggetti di arte mobiliare e grazie alle minuziose ricerche archeologiche, all’antropologia si offre un’occasione unica per sondare la ritualità e la spiritualità dei nostri antenati del Paleolitico superiore, homo sapiens come noi. Se qui ci è concesso solo un breve inciso, in una prospettiva di ricerca più ampia, con un grande salto nel tempo e negli spazi dell’arte possiamo affermare che numerosi artisti contemporanei e in particolare Kandinsky[xxxii] - inventore dell’arte astratta – hanno creato le loro opere (Fig. 11) con uno spirito e una tensione ideale analoga a quella che ha ispirato gli artisti sciamani creatori delle pietre dipinte del Riparo Dalmeri. Nel mettere in comunicazione la realtà terrena con i mondi dello spirito, le figure, le forme astratte e i segni aniconici in ocra rossa, impressi nelle pietre, come le opere create da Kandinsky, sono il frutto intenzionale dell’esigenza e del desiderio dell’uomo di sondare l’invisibile mondo dell’anima. È questo il senso profondo di tutta l’arte astratta di ogni tempo e ogni luogo, dal Paleolitico all’arte contemporanea, che in una prospettiva pluridisciplinare può aprire alla ricerca scientifica insperati orizzonti.
[i] Cfr. Dalmeri G., Neri S., Bassetti M., Cusinato A., Kompatscher K. & Hrozny Kompatscher N. M., Riparo Dalmeri: le pietre dipinte dell’area rituale, Preistoria Alpina, 45 (2011), Museo delle Scienze, Trent: pp. 67-146; Dalmeri G., Cusinato A., Kompatscher K. & Hrozny Kompascher N. M., Neri S., Le pietre con pitture in ocra di Riparo Dalmeri (Trento). Sviluppi delle ricerche sull’arte e la ritualità del sito epigravettiano, Preistoria Alpina, 46 (2012), Museo delle Scienze, Trento: pp.17-40; Carra M., Marinval P., Dalmeri G., I bulbi di avena altissima (Arrhenatherum elatius var. bulbosum) da Riparo Dalmeri (Trento): offerta votiva o cibo quotidiano?, Preistoria Alpina, 45 (2011), Museo delle Scienze, Trento: pp. 147-157.
[ii] Le pietre in calcare oolitico, sono state recuperate dal deposito di crollo sottostante il riparo, precedente l’antropizzazione.
[iii] Cfr. la voce “Magia” in Fabietti U. - Remotti F. (a cura di), Dizionario di Antropologia, Etnologia, Antropologia Culturale, Antropologia Sociale, Zanichelli Editore, Bologna 2001, pp. 431-432.
[iv] Per un’approfondimento sulla questione rimandiamo al nostro Poggianella S., Antropologia dell’Arte Contemporanea, (Tesi di laurea) Università degli studi Milano Bicocca, Anno accademico 2006-2007.
[v], p. 277.
[vi] Ibidem. P. 277
[vii] Le pietre con pitture in ocra di Riparo Dalmeri, op. cit, p. 32.
[viii] Hultkranz Å., Introductory remarks on the Study of Shamanism, in “Shaman”, Vol. 1, Spring and Autumn 1993, Second Edition, Revised and Expanded 2007, Molnar & Kelemen Publisher, Budapest 2007, p. 5.
[ix] Ibidem, p. 7.
[x] Ibidem, p. 8.
[xi] Ibidem, p. 10.
[xii] Per riferimenti sulla teoria dell’object-specific, Cfr.: www.fondazionesergiopoggianella.org, link: http://static.fondazionesergiopoggianella.org/documents/SP_Teoria_Object_Specific.pdf
[xiii] Tilley C., “Theoretical perspectives”, in Tilley C., Keane W., Küchler S., Rowlands M., Spyer P. (edited by), Handbook of material culture, Sage Publication Ltd, London, 2011, p. 7.
[xiv] Appadurai A. (edited by), The social life of things. Commodities in cultural perspective, Cambridge University Press, 2006.
[xv] Ancora A., (a cura di), Devereux George, Etnopsicanalisi complementarista, Franco Angeli, Milano 2014, p. 40.
[xvi] Due eccezioni esemplari sono rappresentate dal giacimento di Gönnersdorf nella Germania settentrionale e dalla grotta di Enlène nell’Ariège.
[xvii] Dalmeri G., Cusinato A., Kompatscher K. & Hrozny Kompascher N. M., Neri S., Le pietre con pitture in ocra di Riparo Dalmeri (Trento). Sviluppi delle ricerche sull’arte e la ritualità del sito epigravettiano, “Preistoria Alpina” 46 (2012), Museo delle Scienze, Trento. p. 39.
[xviii] Le pietre con pitture in ocra di Riparo Dalmeri, op. cit., p. 33.
[xix] Le pietre dipinte dell’area rituale, op. cit., p. 68.
[xx] Fabietti U. e Remotti F., (a cura di), Dizionario di Antropologia. Etnologia, Antropologia Culturale, Antropologia Sociale, Zanichelli Editore, Bologna 2001, p. 135.
[xxi] Clottes J. & Lewis-Williams D., Les chamanes de la préhistoire. Transe et magie dans les grottes ornées suivi de Après Les Chamanes polémique et réponses, La maison de roches éditeur, 2001 (Prima edizione, Editions du Seuil, 1996)
[xxii] Ibidem, p. 10.
[xxiii] Ibidem, pp. 17-18.
[xxiv], p. 154.
[xxv] Ibidem, p. 155.
[xxvi] Riparo Dalmeri: le pietre dipinte dell’area rituale, op. cit., p. 75.
[xxvii] Brusa-Zappellini G., Il linguaggio delle immagini. Contributi della linguistica e delle neuroscienze alla comprensione dell’arte delle origini, in “Preistoria Alpina” vol. 46, Museo delle Scienze, Trento 2012, pp. 306-307
[xxviii] Ibidem, p. 306.
[xxix] Le pietre con pitture in ocra di Riparo Dalmeri, op. cit., p. 39.
[xxx] Ibidem, p.39
[xxxi] Lewis-Williams D., The Mind in the Cave, Thames & Hudson, London, 2012, p. 269.
[xxxii] Cfr. Poggianella S. “The Object as an Act of Freedom. Kandinsky and Shaman Art (L’oggetto Come Atto di Libertà. Kandinsky e l’Arte Sciamanica)” in Evgenia Petrova, (edited by), Wassily Kandinsky. Tudo comença num Ponto. Everything starts from a dot, State Russian Museum, St. Petersburg, Centro Cultural Banco do Brasil, Brasilia, Rio de Janeiro, São Paulo, Belo Horizonte, 11/11/2014 - 28/09/2015, p. 33 «La condizione di artista ha spesso indotto Kandinsky a percorrere strade piene di ostacoli, prospettandogli comportamenti e scelte difficili, che in taluni casi equivalevano a quelle a cui è costretto lo sciamano. Vale a dire forme d’isolamento forzato - in parte dovute alla difficoltà di trovare veri amici - o stati di crisi nervosa e di vertigine, facendo propri rituali d’iniziazione e di tecniche di autoguarigione di matrice sciamanica. L’etnografo Kandinsky ben sapeva che in genere si diventa sciamani dopo esser stati colpiti da una grave malattia, che comporta la perdita dell’anima il cui recupero, raggiunta l’estasi, costringe al viaggio iniziatico nei mondi immateriali della cosmogonia sciamanica. E sapeva anche che per ottenere la guarigione e la restituzione dell’anima da parte degli spiriti, lo sciamano, raggiunto il massimo grado di spiritualità, doveva lottare contro gli spiriti malvagi del mondo inferiore, portatori di morte e/o invocare gli spiriti benigni del mondo superiore».
Fig. 1 - Ricostruzione simulata della prima fase abitativa del sottoroccia, corrispondente
all’utilizzo prevalente per scopi rituali. © ArchivioMuseo delle Scienze Trento
Fig. 2 - Ripartizione aerale delle pietre dipinte in relazione alle tre fosse di origine antropica F1 - F2 - F3. La grande
figura antropomorfa RD 211 (vedi Fig. 3) è nel riquadro F 46. © ArchivioMuseo delle Scienze Trento
Fig 3 - Pietra/Stone RD 211, cm 33,7x23,0x14,0. © ArchivioMuseo delle Scienze Trento
Fig 4 - Pietra/Stone RD 196, cm 9,7x8,7x3,8 © ArchivioMuseo delle Scienze Trento
Fig 5 - Pietra/Stone RD 109, cm 17,7x11,6x6,7 © Archivio Museo delle Scienze Trento
Fig 6 - Pietra/Stone RD 1, cm 14,x10,0x4,9 © ArchivioMuseo delle Scienze Trento
Fig 7 - Pietra/Stone RD 1, cm 10,0x8,9x2,0 © ArchivioMuseo delle Scienze Trento
Fig 8 - Pietra/Stone RD 7, cm 10,0x6,9x2,7 © Archivio Museo delle Scienze Trento
Fig. 9 - Brusa-Zappellini Gabriella, Il linguaggio delle immagini. Contributi della linguistica e delle neuroscienze alla comprensione dell’arte delle origini, in “Preistoria Alpina” vol. 46 (2012), Museo delle Scienze, Trento, pp. 306-307
Fig. 10 - Brusa-Zappellini Gabriella, Il linguaggio delle immagini. Contributi della linguistica e delle neuroscienze alla comprensione dell’arte delle origini, in “Preistoria Alpina” vol. 46 (2012), Museo delle Scienze, Trento, pp. 306-307
Fig 11 - Wassily Kandinsky, Improvisation 34, 1913, olio su tela/oil on canvas, cm 120x139. Received in 1962 from the State Museum of the Tatar ASSR, Kazan. Provenance: collection of the Museum of Painterly Culture, Moscow. State Museum of Fine Arts of the Republic of Tatarsan, Kazan.